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29 ottobre 2008

FUORI POSTO

In cui il mio amico immaginario ebbe ricordi di cose
che non successero mai.
Ogni volta è come la sensazione di cadere dalle nuvole in swing o restare annacquati da una sillaba impollinata.
Ogni volta è quel "cerco di autoconvincermi di essere fuori posto e di sentirmi a disagio" che non funziona.
Ogni volta mi guarda e penso che la mia immagine risuoni nei suoi occhi come un'eco che si riflette infinite volte copie di me, sempre più brevi ed indecifrabili e che alla fine, ogni volta, si va a nascondere in un angolo buio.
Per quanto mi riguarda, ogni volta infrango tutte le regole dell'abbandono. Il trucco trasforma parte di lei nelle grazie di parole gotiche. Le ciglia, travestite da guglie, accompagnano lo sguardo.
Ogni volta è complicità mista a fragole e ciliegie.
Ogni volta non capisco come tanta bellezza non faccia esplodere i capillari.
Ogni volta desisterei se solo certi apostrofi apparentemente banali non suscitassero un'ilarità spiccia e immotivata.
Ogni volta la trasmissione del pensiero fallisce in sguardi abbagliati dalle luci di scena, sfrigolando puntigliosi e scintillanti.
Non è facile farsi capire quando a priori ci si astiene, volontariamente, da ogni comunicazione.
Fine del riempitivo: il fondo di zucchero delle coppette preconfezionate di gelato.
"Due corpi solidi non possono occupare lo stesso spazio nello stesso istante" disse. "A meno che non siano i nostri" aggiunse.

25 ottobre 2008

POCO DI TUTTO

Questa è una fiaba in cui tutto è già avvenuto e tutto resta uguale. Non si fa che scoprire ciò che già si sapeva. Quindi inutile fermarsi a riflettere. Non serve. Niente ha senso. Nessun significato, se non assurdo. Insulso. In questa fiaba se faccio un altro passo mi ritrovo altrove. Mentre la racconto rimango seduto sul bordo del letto a fissare il muro, in cui cerco l’inafferrabile senso del mio presente. Piovono papille gustative. Mentre la ascolto dalla mia voce l’equilibrio si va perdendo, tralasciando all’attimo ogni volontà di controllo ed oscillo nervosamente le gambe. Che a vedersi in certi atteggiamenti si pensa sia irrecuperabile. E forse lo è. Claustrofobica rassegnazione: non contengo più i movimenti. Richiedo oblio, esigo una voragine! La mia mente va bonificata. Prosciugata. Chi sono non lo so e per questo mi scrivo la domanda su di un foglietto e me l'infilo nella tasca della giacca.

Si prega di lasciare libero l’ingresso della fiaba, grazie.
Il mio amico immaginario ed io siamo dei recidivi senza speranza. Dal mio lato arancione e dal suo punto di vista verde.
Chiudi il sipario. Non c’è più nessuno.

22 ottobre 2008

PASSATO L'INCISO

In cui il mio amico immaginario fu travolto da pensieri in ordine sparso.
Eppure stavo dicendo qualcosa. Forse stavo pensando qualcosa. Vorrei scrivere questo qualcosa prima della fine delle mie molecole e prima del trapasso delle mie travecole. Ora potrei avere delle difficoltà a non cadere nel ridicolo. Passato l'inciso, poi l'interesse e l'interessato. Poi l'interesse per l'interessato. Ventidue è un bel numero. Sarà per i due due. Nell'agevolazione la causa è sufficiente, ma non necessaria, ma io sono nostalgico per prescissione. Il tempo non si è fermato molto a lungo, tenendo conto del vento: la mia parte tangibile si riflette ancora nella parte nera di un di fuori.
Eppure stavo dicendo qualcosa. Forse stavo pensando qualcosa. Ginevra diceva sempre di si un tempo, ma erano solo novelle scontratesi coi duellanti. Ginevra la si sente e la si percepisce dal collo in giù. Solo dal collo in giù. La dolce Ginevra trascorre l'esistenza scivolando tra un'inutilità ed un'altra. Ginevra, nella sua indecisione netta e decisa, soffre di un dolore ottuso, di poesie recitate a memoria, di frasi non dette e appassite. Il suo vagito pare il lamento d'un animale sofferente. Niente trucco, solo pittogrammi di sguardi cavapietre.
Stando così le cose si arrivi al dunque.
In questo momento vorrei essere il "ma" all'inizio di una domanda, peripezie con l'accento sulla seconda e.
Ci credete se vi dico che il sole mi ha detto che sta per esplodere? Che faccio, gli credo? Eppure stavo dicendo qualcosa. Forse stavo pensando qualcosa. Ma non la ricordo più. La morale della favola preferisco non saperla.
E poi? Applausi.

18 ottobre 2008

IL LUOGO COMUNE DI RESIDENZA

Il pOstO In cUI hO trOvAtO Il mIO pIccOlO dIsAgIO
No, perchè devo dire la verità? No, perchè devo proprio dirla? No, perchè accadde un giorno, e fu un solo istante, mentre osservavo i grigi dissolversi, che intravidi l’ombra dell’Enigmatico Traduttore. Egli coltiva come un culturista l’importanza del sapore acerbo del suono delle parole di una lingua sconosciuta, utilizzando solo le vocali. Per lui il giusto umore è la lettera u tra parentesi, che suona un po’ come il distacco dalla vita sociale di tutti i giorni. Poi tanto silenzio e poco d’altro, quel che lascia dietro sè. No, perché vorrei rompere questo silenzio con il mattone dell’autocontrollo e trascurare il moto spontaneo di qui e adesso, innalzando la fiamma della stabilità e invece scrivo di condizioni mentali drasticamente fuori luogo comune che fanno scorrere lento ogni moto spontaneo. Ci ha già pensato qualcun altro a scaraventare il mattone dell’autocontrollo; troppi si sforzano di tenere il silenzio fuori dal giro. C’è un’aspettativa di destino sotto forma di pavimentazione stradale ed uno stato di abbandono degli ammortizzatori anteriori. No, perchè devo proprio dirla tutta questa verità? No, perché trovo fastidioso chi inizia una frase con "no, perchè".
Si resta sempre con il desiderio di sbirciare l’ultima pagina.

15 ottobre 2008

SENTIMENTALISMO DIFFORME

Le allucinazioni sono definizioni orizzontali che fanno sorgere leggeri rumori da scontri senza energia, il destino che è fatto di fruscii. Le allucinazioni mi si condensano addosso. Le allucinazioni riempiono il palcoscenico di scrupoli a quadretti e vesciche di spensieratezza mentre architettano una personalità disorientata. E' l'allucinazione che mente. E' la mente, che allucinazione.
Che a guardare i muri sembrerebbe di stare ancora coi piedi per terra. Io vado avanti e le allucinazioni si fanno a lato, bisbigliando senza rispetto. Vorrei spiegare alle allucinazioni che non è come pensano, ma poi negherebbero di averlo pensato. Le allucinazioni fanno l'ironia così affilata che ci si può tagliare un giorno di pioggia. Ignorano le differenze di scala tra pioggia e lacrime.
Le allucinazioni: il momento in cui anche per me tutto è più qualcosa.

12 ottobre 2008

FOTOGRAFIA


Mentre passa lento il giorno su di me e non mi scolorisce, il dolore cucinato in umido, l’autore si impegna a respirare. A respirare i fenomeni e a scrivere l’aria, inquieto per scelta ma non degli inquietati. Tutto ciò che la memoria mi lascia rivivere di certe peripezie oniriche è una sensazione efficace: l’altruismo sotto forma di fendinebbia posteriori. E, dopotutto, ci sono punizioni peggiori dell’autunno, dico, mi rispecchio in una foglia metà gialla e metà croccante con il sorriso a comando di una fotografia. Io, quando mangio, la tenerezza la scarto e l’accumulo lungo il bordo del piatto. Continuo a gocciolare in un intorno sfavorevole, poteva finire peggio, invece niente. Ora sull’asfalto crescono i cactus.
Trovo che tutto questo sia un’idea orrendamente seducente.

10 ottobre 2008

CONDIVIDO IL DESTINO DEL MIO BARICENTRO

C'era un corvo nero, in bilico su una grondaia, che gracchiò contro la mia derisione.
Ho bisogno di una parola. Una parola così soffice che sembra si spezzi pronunciandola.
Tiravo appresso a me la sufficenza come un carretto che lasciava il suo tracciato nella neve.
Allora il vuoto dentro si fa grotta, dove le lacrime filtrano lente, progettando stalattiti.
Maturano frutti lucenti, esangui, marci e osceni.
Dolci bulbi oculari da succhiare e sputare.
Noi è troppo ambiguo. Potrei star parlando di me e di te che mi stai ascoltando, o di me ed un'altra persona, escludendo te ascoltatore.
E poi la principessa viene catturata dall'esercito delle termiti, la legano e la portano nella loro enorme tana.
Cominciarono una serie di movimenti sotterranei, segreti e rivelatori insieme.


Da bambino pensavo al contrario delle lampadine. Accese nelle mia stanza in pieno giorno, avrebbero proiettato un cono di oscurità totale. Con dentro me.

Niente, era solo uno sfogo.